Personaggi che nascono:
la co-costruzione di mondi possibili
Lo strumento
A coppie. Individuate un ambiente, esterno o interno: un parco, una strada, una casa,
oppure in auto, a scuola ecc. Poi scegliete dei personaggi, uno a testa, i quali dovranno entrare in
relazione attraverso il dialogo. Quando queste scelte preliminari sono compiute, annotatele nella
scheda qui sotto. Ora siete pronti per scrivere: ciascuno diventa un personaggio. Uno comincia a
parlare, l’altro risponde, e così via finché la storia non comincia a prendere corpo.
Dopo aver scritto i testi è opportuno leggerli ad alta voce. Ciascuna coppia può leggere il Approfondimenti
Il gioco mette in evidenza due aspetti fondamentali della scrittura di racconti e della loro
lettura o ascolto. Inoltre, mette in risalto il fatto che quando si ascolta o legge, ovvero quando si
interpreta un testo narrativo, la nostra mente esercita un’attività di tipo narrativo in tutto simile a
quella della mente che narra.
Il gioco, quindi, illustra una delle regole di base nella scrittura creativa: per evitare discorsi
inutili e noiosi, per ottenere l’attenzione di un numero alto di persone – anche molto diverse da noi
che scriviamo – e per creare dal nulla storie che possono prendere una direzione inattesa anche
per lo stesso autore, è sufficiente mettere in azione dei personaggi, farli agire – e il dialogo è
un’azione che come tale si svolge nel tempo – all’interno di uno spazio definito.
In questo modo, i personaggi, desiderosi di parlare, di entrare in contatto e di conoscersi,
scelgono cosa dire, selezionano le parole. Interpretando le parole dell’altro, il destinatario della
prima battuta reagisce, a sua volta seleziona cosa dire, quindi parla. In base alle scelte che fa
l’uno, l’altro interpreta e sceglie a sua volta, velocemente, seguendo, appunto, le regole del
pensiero narrativo. Il risultato di queste scelte dà vita ad un racconto che lascia molto spazio
all’immaginazione dell’interprete, il quale è libero, utilizzando esclusivamente il suo pensiero
narrativo, di dare giudizi e di farsi un’idea – a partire dalle sue conoscenze del mondo e delle
azioni umane – dei personaggi e dell’ambiente che li circonda.
È un modo per dare una risposta rapida ad uno dei problemi più grandi del novello scrittore,
che tende a saturare i suoi racconti di aggettivi. Gli aggettivi – specie quelli che forniscono un
giudizio – non aiutano a vedere le azioni umane. Non si deve dire come sono i personaggi; si deve
semmai rivelarli attraverso le loro azioni (Levin, 2004, p. 14; Giusti et al. 2007, p. 200).
Inoltre, le risposte alle domande date dagli interlocutori dei narratori sono un buon sistema
per comprendere come il lettore costruisca, a partire dallo stimolo ricevuto, un vero e proprio
mondo immaginario, le cui caratteristiche sono il frutto di una co-costruzione. “Ogni storia – scrive
Smorti (2007), p. 143 – si situa all’interno di un ‘mondo possibile’. Può essere, questo, il mondo
che noi abitudinariamente conosciamo, nel quale le mele cadono dagli alberi se sono mature e il
legno galleggia sull’acqua, o un ‘mondo possibile’ in cui queste e altre leggi della natura vengono
violate. Riuscire a sapere qual è il ‘mondo possibile’ all’interno del quale il narratore parla è uno dei
principali compiti di chi ascolta, se vuole veramente capire Una volta entrata in questo mondo, la
persona cerca di ragionare in base a un principio di coerenza con le sue leggi e non con quelle che
regnano in un altro mondo”.
Io è un altro – il decentramento narrativo
Lo strumento
Scegli un aneddoto, una piccola esperienza che ricordi e racconti volentieri. Circoscrivi
l’episodio in un tempo ed uno spazio precisi, cercando di osservarlo dall’esterno. Tu sei un altro
personaggio, qualcuno che guarda dall’esterno e racconta. Quando sei pronto, assegna un nome a
questo personaggio esterno che ti sta guardando e racconta la storia in prima persona dal suo
punto di vista. Approfondimenti
La nostra mente attraverso l’immaginazione ha la facoltà di osservarsi in modo distaccato,
sospendendo o osservando l’impulso a giudicare (Scarpa, 2006, p. 72). L’esercizio appena
proposto consente di saggiare questa potenzialità cognitiva. Per svolgerlo occorre una competenza
complessa, che comporta almeno la capacità di immaginare, ovvero di costruire immagini mentali
composte di persone e ambienti, e la capacità di abbandonare il proprio punto di vista, rinunciando
ad punto di vista ostaggio delle proprie emozioni e dei propri giudizi. Da fuori, l’osservatore ha due
grandi vantaggi su di noi: 1) è in grado di osservare la situazione comunicativa nella sua
complessità (l’osservatore vede il protagonista nell’ambiente che lo circonda e in relazione con gli
altri); 2) è in grado di osservare i comportamenti e di dare i giudizi ai comportamenti, senza avere
l’illusione di accedere ai pensieri o alle emozioni, che si rivelano solo attraverso la lettura del
linguaggio non verbale e delle scelte. Questo secondo aspetto dell’osservazione dall’esterno è
cruciale, poiché ci aiuta per un attimo a vincere l’illusione di una nostra possibilità di essere
davvero compresi o di manifestare sinceramente ciò che pensiamo o ciò che siamo: in realtà
possiamo solo negoziare i significati e condividere le interpretazioni.
Ludovica Scarpa (2006) tra i suoi strumenti mentali per uscire dagli automatismi cognitivi
inserisce proprio l’osservatore, attraverso il quale “si raggiunge un livello di coscienza in cui ci si
identitica automaticamente con ciò che si osserva – gli stati della mente – in quanto li si osserva”
(Scarpa, 2006, p. 72). Un buon narratore dovrebbe essere capace di descrivere se stessi e gli altri.
Potremmo dire che senza la capacità di descrivere – e di osservare i comportamenti in quanto
messaggi – è impossibile assumere un atteggiamento di ascolto non giudicante. Se per descrivere
qualcuno io dico che “è timido” in realtà non sto descrivendo ma comunicando una mia
interpretazione; gli sto parlando non di lui ma di me e delle mie coordinate mentali (Scarpa, 2006,
p. 73). Sono io che sto parlando di me, del mio quadro di valori, delle mie coordinate culturali. Ma
se io dicessi “abbassa gli occhi quando parla e evita di prendere al parola”?
Story budget – Racconto dunque sono: il bisogno di
riconoscimento e l’interlocutore affidabile
Lo strumento
Lo “story budget” è un bilancio delle narrazioni, la registrazione delle storie che
quotidianamente raccontiamo e ascoltiamo. Si può compilare da soli, in due o in gruppo, ponendo
a se stessi o agli altri delle semplici domande come: “quando hai ascoltato o raccontato (oggi, ieri,
nell’ultima settimana…) una storia? Di cosa si trattava? Con chi ti trovavi? Dove?”. Naturalmente,
le storie possono provenire dalle grandi agenzie narrative (tv, cinema, editoria…) e dalle relazioni
quotidiane, sia attraverso i media (telefono, cellulare, e-mail) sia dal rapporto faccia a faccia,
durante conversazioni o discussioni, a casa o per strada, sul luogo di lavoro, sull’autobus…
Approfondimenti
“Il primo oggetto del desiderio che anima il narratore è dunque quello di veder riconosciuta
la propria esistenza da parte del destinatario del suo racconto” (Jedlowski, 2000, p. 108). Solo la
narrazione, che è il motore del linguaggio e del suo apprendimento, “consente di costruirsi
un’identità e di trovare un posto nella propria cultura (Bruner, 1996, p. 55).
Qui d
i seguito si possono leggere le funzioni sociali della narrazione descritte da Jedlowski
(2000). Dopo aver compilato il bilancio delle storie può essere utile confrontarsi con esse.
Novel budget – La comunicazione letteraria e l’incontro con l’altro
Lo strumento
È un bilancio delle narrazioni letterarie. Si tratta di fare il punto sul nostro bagaglio di
conoscenze riguardo alle storie inventate dai grandi e piccoli narratori del passato e del presente.
Approfondimenti
Il tradizionale schema della comunicazione, che prevede, nella sua forma più semplice, che
un mittente invii un messaggio ad un destinatario, nell’opera letteraria assume una maggiore
complessità, moltiplicando la presenza della figura del mittente/narratore all’interno dell’opera
stessa (il racconto). Di seguito si riporta l’esempio dello schema della comunicazione letteraria
applicata al romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa (1980).
Esiste dunque una voce del narratore interna al racconto (l’enunciato narrativo). Esistono poi
le voci dei singoli personaggi che parlano e, soprattutto, esistono i loro punti di vista, che si
manifestano al lettore attraverso le parole, i pensieri, le azioni e le scelte dei personaggi che si
muovono nel tempo e nello spazio del racconto.
I romanzieri hanno scoperto prima degli psicologi e dei sociologi questa particolare funzione
cognitiva della narrazione: leggendo romanzi, entrando nei loro mondi possibili, assumendo i punti
di vista dei personaggi e ascoltando le loro mille voci, è possibile “guarire dal nostro egotismo”,
dalla nostra illusione di autosufficienza (Todorov, 2007, p. 76, trad. mia).
Ha scritto Robert Louis Stevenson, l’autore dell’Isola del tesoro: “I libri che hanno esercitato
una maggiore e più autentica sono quelli di narrativa. Essi non vincolano il lettore a un dogma che
poi scoprirà essere inesatto; non impartiscono una lezione che dovrà successivamente
disapprovare. Quello che fanno è ripetere, riassestare, chiarire le lezioni della vita; essi ci liberano
da noi stessi, ci costringono a fare conoscenza degli altri e ci mostrano il reticolo dell’esperienza
non quale appare ai nostri occhi, ma attraverso un mutamento prospettico particolare, perché una
volta tanto viene obliterato quel mostro distruttore che è il nostro ego”.