Maestri, tutor, mentori: e si potrebbe andare avanti a lungo aggiungendo tutti i termini che hanno a che fare con l’educazione, perché sono tanti, ognuno recante una diversa sfumatura di significato ma tutti concorrenti a comporre nel nostro immaginario quell’idea di “figura di riferimento” così importante quando pensiamo al bisogno dei ragazzi di apprendere, assorbire, valori, comportamenti, nozioni, modalità di ragionamento. Senza arrivare a favoleggiare di quando esistevano Chironi che si votavano a istruire stuoli di Patrocli e Achilli, potremmo concentrarci su una figura professionale estremamente attuale, quella dell’orientatore. Ma “cosa fa” un orientatore? Ne abbiamo incontrato uno esemplare, e queste sono le sue riflessioni in merito.
– Puoi descrivere la figura professionale dell’orientatore? Quali sono secondo te le competenze principali necessarie a svolgere questo lavoro?
L’orientatore è un professionista che lavora a contatto con persone che hanno bisogno di essere supportate nel mettere a fuoco le proprie competenze o la strada per raggiungere il proprio obiettivo professionale. Le competenze necessarie sono senza dubbio legate alla parte dell’ascolto ed alla comunicazione (saper ascoltare, saper comunicare), inerenti anche alla stimolazione di un’autoefficacia percepita dalle persone con le quali si trova a lavorare l’esperto di orientamento. Occorrono conoscenza del territorio e delle reti principali dove si possono ricercare risorse utili per il raggiungimento di obiettivi professionali differenti espressi dalle persone. Sono competenze che potrebbero essere collegate ed ambiti psicologici, ma non è così. L’orientatore è chiamato a supportare e stimolare non ad analizzare una persona, questo professionista accompagna la persona verso definizioni di scelta, non “costringe” a scegliere.
– Lavorare a stretto contatto con i ragazzi e gli adolescenti richiede sensibilità, risorse creative, tatto: cosa hai modo di osservare nei giovani che partecipano ai progetti di orientamento e alle attività di formazione?
I giovani che si avvicinano a progetti di orientamento e ad attività di formazione sono persone che hanno iniziato una ricerca di un proprio obiettivo personale. Che “chiedono” al progetto di orientamento o all’attività di formazione di aiutarli a comprendere meglio come poter utilizzare le proprie competenze e a trovarne di nuove da utilizzare, possibilmente, a lavoro. Tutti coloro che si avvicinano ad un percorso di orientamento o formativo hanno bisogno di ricaricare le proprie batterie, oltre che a ricevere un nuovo supporto o delle nuove conoscenze e proprio per questo “scelgono” di iniziare un’avventura del genere. Sono pertanto, questa tipologia di ragazzi, persone che hanno fatto almeno una scelta iniziale.
– Cos’è l’orientamento narrativo? In quale misura lo storytelling si dimostra una modalità funzionale nel tuo campo?
L’orientamento narrativo per me è LO strumento potente per poter lavorare sia in percorsi di formazione che di orientamento. È una metodologia didattica che permette di utilizzare storie (libri, film, serie tv, canzoni) per lavorare sulle competenze delle persone con uno strumento, le storie, che sono identificate da tutti e che permettono di stimolare una riflessione su sé stessi anche provando a vedersi con gli occhi degli altri.
– Quali sono generalmente le attività che proponi? Puoi fare un esempio di progetto descrivendo in breve punto di partenza, percorso scelto, e obiettivi raggiunti?
Di solito propongo attività che rispondono alla domanda: quando fai una scelta, quali sono le caratteristiche personali che metti in gioco? Quali vantaggi e svantaggi pensi di trarne per te? Faccio l’esempio di un esercizio ideato quest’anno per un lavoro di orientamento con le classi IV dell’Istituto Bianciardi di Grosseto che mi è veramente piaciuto sia in programmazione che in erogazione: si è trattato di un percorso volto a individuare le strategie utili al raggiungimento di un obiettivo, tramite un filmato, un brainstorming sui vissuti evocati dallo stimolo, e un’attività di discussione della propria capacità di progettare. Il risultato è una discussione di confronto e la condivisione dei contributi degli studenti, raccolti nelle schede compilate da ciascuno.
– Nel bel libro di E. Marioni e A. Caldelli Quelli che non… (Pensa Multimedia, 2016) affermi che “non ci deve essere ‘competizione’ nell’erogazione di servizi di orientamento, ma collaborazione e per poter procedere con questa collaborazione occorre che sia presente, nel territorio, una rete che sappia reindirizzare il giovane verso il servizio più adatto alle necessità della persona”: vuoi contestualizzare questo concetto?
Ci provo. Secondo me dovrebbe esistere una rete concreta, un posto dove tutti coloro che erogano servizi di orientamento di vario livello e a vario titolo si trovano. Si coordinano e si specializzano secondo le caratteristiche peculiari. Un ragazzo che si informa presso un informa giovani deve poter sapere che se ha bisogno di supporto per cercar lavoro può andare ad un centro per l’impiego piuttosto che in un agenzia formativa o che se si sente disorientato può andare in tale associazione a fare un percorso che lo condurrà successivamente ad un centro per l’impiego creando così una rete di servizi erogati da più realtà ma in un percorso di orientamento lungo e che abbia senso. Se si specializzano i servizi e si crea un catalogo di orientamento sul territorio che funziona (se voglio creare la mia impresa il centro per l’impiego può mandarmi da CNA, se sono disorientato da un’altra patte, se ho bisogno di conoscere il mondo della ristorazione gli faccio incontrare un esperto)… si crea un servizio al quale anche il mondo del lavoro sa attingere, per esempio per la ricerca di figure professionali che si vogliono mettere a lavoro (oggi chi vuole assumere si rivolge solo ed esclusivamente al proprio interlocutore di fiducia, non a quello istituzionale).
– Multimedialità e nuove strategie di comunicazione: che ruolo giocano nel tuo campo e nella ricerca del lavoro oggi?
Io utilizzo strumenti multimediali per lavoro quotidianamente, è la mia indole e senza mi sentirei perduto.
Oggi, nel territorio grossetano, non è ancora lo strumento principale, fuori da qui, in contesti diversi come Roma, Firenze e Milano, serve molto ma solo per alcune tipologie di ricerca professionale di lavoro. Un esempio: nell’ambito dei lavori stagionali qua da noi questi strumenti non funzionano, e forse non funzioneranno mai per la ricerca di un’occupazione.
– Quali sono le cose che ti piacciono di più del tuo lavoro?
Sono molti gli aspetti che mi piacciono del mio lavoro, adesso direi: la possibilità di organizzare e progettare in autonomia il mio lavoro; il fatto di fare quello che più mi piace e per il quale penso di essere portato; e il fatto che imparo sempre qualcosa di nuovo ogni anno e posso sperimentare io stesso progetti e attività nuove. Sono fortunato perché lavoro con professionisti che mi aiutano a crescere sempre (personalmente e professionalmente).